venerdì 22 dicembre 2017

Compro oro - Un racconto natalizio




Quella vigilia di Natale era iniziata nel peggior modo possibile. Pioveva in maniera inquietante e il cielo plumbeo e pesante portava con sé strani presagi. Le gocce d’acqua rimbalzavano violentemente sulle buche che disseminavano la strada sotto le finestre, ma Alessandra le guardava senza nemmeno vederle. Le intuiva; intuiva tutti i suoni che la circondavano, gli odori e il paesaggio che le si stendeva davanti, ma  i suoi occhi guardavano altrove. L’indomani sarebbe stato Natale. In casa ci sarebbero state solo lei e la piccola Valentina. Nessun altro. A Natale i mezzi non passavano e loro non sarebbero uscite. L’auto aveva deciso di abbandonarla tre giorni prima, e di comprarne un’altra non se ne parlava nemmeno. Non aveva soldi. Non aveva un lavoro fisso. Nessuno avrebbe garantito per lei. Girava e rigirava fra le mani, nascoste nelle tasche della pesante vestaglia di flanella grigia, due medagliette d’oro. Su una era raffigurata l’immagine della Vergine; sull’altra un cuore e la data del suo matrimonio. Dieci anni prima. Adesso le sembrava fosse passato un secolo.  Strinse forte la prima medaglietta, sperando che la Vergine potesse infonderle un po’ di quel coraggio che ormai le mancava completamente, ma l’unica cosa che sentì fu il dolore profondo della carne che si lacerava a causa della morsa delle dita sul ciondolo. Le allargò e lasciò ricadere la medaglia nella tasca, allontanandosi dalla finestra. Doveva uscire. Doveva farsi forza e uscire; non poteva più aspettare. Valentina era andata a giocare a tombola a casa di una vicina e ci sarebbe rimasta fino a tarda sera. La mamma della sua amichetta le aveva chiesto di farla rimanere anche a dormire, ma lei non se la sentiva di passare la notte della Vigilia completamente sola. Avevano delle tradizioni da mantenere. La statuina di Gesù Bambino doveva essere posizionata nella mangiatoia e Valentina c’era sempre stata in quel momento. Una volta c’era anche Claudio ed erano felici. Davvero felici. Felici senza  pretese assurde, senza sogni irrealizzabili. “Felici con sacrifici” era solito dire Claudio quando, di notte, l’abbracciava forte nel letto, che una volta era stato di sua nonna. I sacrifici erano rappresentati dalla rata trentennale del mutuo acceso per l’acquisto della casa e dal leasing dell’auto. Però erano giovani e lavoravano entrambi. Nulla li spaventava. Non li aveva spaventati nemmeno la nascita di Valentina. Un figlio arrivato così, all’improvviso, senza che nessuno dei due lo avesse pensato.
Alessandra  si era resa conto di essere incinta solo al quinto mese. Era abituata ai suoi ritardi e non ci aveva fatto caso. Poi, però, le gonne le erano diventate strette e la pancia era spuntata quasi dalla sera alla mattina.
«Ho una pancia gonfia come un pallone», aveva detto un giorno, mentre prendeva un caffè al bar con la collega dell’ufficio legale. 
«Mica sarai incinta?» le aveva chiesto l’altra, guardandola attentamente. 
Valentina era entrata nella sua vita e in quella di Claudio in quel modo. Grazie alla domanda di una collega che, dopo qualche tempo le aveva rubato il marito. Si era ritrovata senza marito e senza lavoro. Ma  Valentina non avrebbero mai potuto togliergliela. Valentina era la sua stessa vita. Si avvicinò al tavolo della cucina e, con un sospiro, si sedette. Le bollette erano tutte lì, sul piano, disposte in modo ordinato e con le date di scadenza ben evidenziate in giallo. Era in ritardo su tutto, compreso la rata del mutuo. Claudio non le versava l’assegno di mantenimento da tre mesi e la casa era intestata a lei. Aveva bisogno di quattromila euro. Con quattromila euro avrebbe potuto pagare tutte le bollette e comprare il regalo di Natale a Valentina. Con quei soldi avrebbe potuto respirare un po’, dormire la notte, svegliarsi con occhiaie meno profonde e tirare avanti fino a quando il suo ex marito non avesse mantenuto la promessa, versandole gli assegni mancanti. Si alzò, impaziente e nervosa. Tornò di nuovo davanti alla finestra e si sorprese a guardare la sua immagine allo specchio.  Il buio rubava gli ultimi spazi a quella giornata grigia e le luci artificiali, lungo la strada, illuminavano fiocamente le vetrine dei negozi addobbate per le festività natalizie. In quella zona  non c’erano luminarie pubbliche. Quel quartiere si trovava in periferia e spesso era usato solo come dormitorio.  
«Ben servito, zona immersa nel verde, con un grande centro commerciale a soli cinque minuti»,  le aveva detto Claudio, di ritorno dall’agenzia immobiliare. In realtà i mezzi passavano a singhiozzo, il parco che circondava i palazzoni era solo luogo di spaccio e nel grande centro commerciale erano rimasti aperti solo un discount e un negozio di abbigliamento gestito da asiatici. Solo quello era rimasto, oltre alla rata del mutuo. I suoi occhi attraversarono il vetro bagnato e si concentrarono sulla vetrina del negozio all’angolo. Aveva aperto da pochissimi giorni e lei lo aveva notato passandoci davanti dopo avere accompagnato Valentina a scuola. Era nuovo, nuovissimo, con un’entrata elegante e sobria. I pochi scalini terminavano davanti a un portone di legno verde; lo stesso legno che circondava la vetrina piena di gioielli e di argenteria. Si era avvicinata, curiosa a attratta dal colore che le ricordava tantissimo quello di una pasticceria di Vienna, visitata con Claudio un secolo prima. Aveva alzato lo sguardo verso l’insegna luminosa e  si era soffermata a osservare la scritta intermittente  “Compro il vostro oro”. Aveva scosso la testa e si era affrettata. Quel negozio l’aveva messa di cattivo umore. Da allora, però, non era più riuscita a pensare ad altro. Il giorno dopo si era avvicinata di nuovo, durante l’orario di chiusura e si era affacciata alla vetrina per osservare meglio l’interno. Sembrava un elegante salotto di casa. 
Anche quel giorno era scappata di nuovo, come se qualcuno l’avesse scoperta a rubare, ma, da allora, non aveva mai smesso di tenere d’occhio le vetrine. Dalla sua finestra le vedeva bene. In quei giorni aveva imparato tutti gli orari. Sapeva anche qual era il momento migliore per passarci davanti, sbirciare dentro e controllare l’interno. L’ora era quella giusta e si doveva affrettare. Valentina avrebbe avuto il suo regalo. Sua figlia  non doveva conoscere la povertà. Non lo avrebbe mai permesso. Le dita della mano destra si strinsero involontariamente sull’anulare sinistro dove ancora brillava, come un trofeo, il suo anello di fidanzamento. L’ultimo baluardo di speranza. L’ultimo ricordo di una vita che l’aveva vista felice, allegra, spensierata, protesa verso il futuro. Lo sfilò e lo infilò nel sacchetto in cui aveva riposto tutti gli altri oggetti. In quel sacchetto di velluto giaceva tutta la sua vita. La medaglietta del suo battesimo, la  catenina con la Croce della sua prima Comunione, il bracciale della Cresima. Poi i regali ricevuti a diciotto anni, quelli della sua laurea; la medaglietta sulla quale era incisa la data del matrimonio, il suo anello di fidanzamento, la vera nuziale. Ci aveva messo anche  le catenine di Valentina e le medagliette che le erano state regalate quando era nata. Non aveva più nulla. Nessun ricordo tangibile, nulla che la potesse ricondurre al passato.
“Protesa  di nuovo verso il futuro” si disse amaramente, poi infilò il sacchetto in borsa e si preparò per uscire prima di cambiare ancora una volta idea. Non doveva pensare a quello che stava facendo. Doveva solo pensare alla spesa da fare, agli acquisti dell’ultimo minuto, al fondotinta che avrebbe  potuto comprare dopo quasi sei mesi. Non sarebbe stato difficile separarsi dai suoi gioielli. Erano solo cose; erano oggetti. Non erano nulla. Non rappresentavano nulla. Li avrebbe solo impegnati e nessuno lo avrebbe mai saputo. Claudio le avrebbe dato quanto le spettava e lei li avrebbe riscattati. Nulla di così semplice. Una benedizione, in qualche senso. Diversamente come avrebbe fatto? Senza una busta paga da mostrare non avrebbe mai avuto accesso a nessun credito. Ci aveva già provato e la risposta era sempre stata negativa. Non poteva fare altrimenti. L’indomani sarebbe stato Natale. Avrebbe cucinato il tacchino al forno con le patate e avrebbe fatto il brodo, come le aveva insegnato suo madre. Valentina avrebbe trovato il pacco sotto l’albero di Natale, vicino al Presepe. Sarebbe stato un bel Natale. Un Natale da ricordare. Chiuse la porta dietro le spalle e scese le scale come una forsennata. Aveva dimenticato anche di prendere l’ombrello, ma se ne accorse solo quando fu in strada.
«Farò una corsa», pensò, stringendosi addosso il cappotto che l’accompagnava da tanti inverni. Troppi inverni. 
«Io posso aspettare. Non ho bisogno di nulla. Il fondotinta sarà il mio regalo di Natale», pensò, mentre correva a perdifiato, cercando di ripararsi sotto i cornicioni dei palazzi. Dopo qualche minuto si fermò davanti al portone verde. Guardò dentro e l’uomo al di là del vetro blindato le sorrise, cordiale. Appoggiò la mano sulla maniglia dorata e sospirò, sentendosi addosso il peso  della scelta che stava per compiere. Una voce  allegra di bimba la riscosse. Si girò verso la strada e la vide. Era infagottata in un cappotto più grande di lei e stringeva al petto un pacco rosso, con un gran fiocco dorato. La mamma la stringeva a sé in maniera protettiva, ed entrambe erano riparate sotto un grandissimo ombrello azzurro. Erano belle; belle e serene.
Anche su figlia meritava la stessa serenità. Anche Valentina aveva il diritto di ridere in quel modo.  “Valentina deve vivere il suo Natale. Deve avere il suo regalo di  Natale”, si disse,  trovando la forza di spingere  il portone verde.

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